Metti un gruppo di economisti in un dopopranzo ferrarese a chiedersi Chi ci guadagna dalla crisi. La risposta, purtroppo, è: non tu. Perché hai la sfortuna di essere nata nell’82 e di trovarti in pieno naufragio, e perché la tua digestione ne risulterà irrimediabilmente compromessa.
Introdotti da Jacopo Zanchini (Internazionale), Jean-Jacques Gouguet (Università di Limoges), Loretta Napoleoni (Economista, firma di Internazionale) e Thierry Vissol (Commissione Europea) discutono, pacificamente e inconciliabilmente, di vecchie e nuove povertà.
Gouguet distingue tre questioni principali: un’analisi della definizione tradizionale di povertà, del suo cambiamento e dei fattori con cui valutarla, la necessità di conoscere direttamente l’argomento per parlarne e l’impossibilità di una società senza poveri (almeno questa società).
Vissol delinea un excursus storico, ricordando che Carlo V nel 1531 per la prima volta riconobbe la povertà come problema sociale e cercò di porvi rimedio. A livello europeo il tema esiste dal 1951, e i primi programmi in merito partono nel 1970. L’UE però non può promuovere politiche sociali, ma solo sussidiarie; ogni Paese deve agire per sé, e anche per questo il tasso di povertà europeo del 1984 risulta invariato a oggi.
Napoleoni non nasconde i pugni allo stomaco che riceviamo e riceveremo: se in alcuni Paesi del Sud del mondo la povertà si è contratta (vedi la Cina), dopo la recente crisi è avanzata in Occidente, ed è difficile riprendersi con una distribuzione del reddito sempre meno equa e una forbice tra redditi alti e medio-bassi sempre più ampia. In Italia i nuovi poveri emergono dall’ultimo rapporto Istat: 2 milioni di giovani non lavorano, non studiano e vivono con i genitori. Quale futuro per loro?
Aumenta la disoccupazione, diminuisce la scolarizzazione, scompare la (nostra) serenità. Ma Napoleoni chiude il discorso circolarmente: questa crisi potrebbe essere una grande opportunità, perché ora la povertà non è più funzionale al sistema capitalistico; lavorando contro di esso, ne rende possibile il cambiamento. Ma come?
Insomma, non è buono il risveglio dal sogno europeo, sia per chi continua a crederci (Thierry e Gouguet), sia per chi (Napoleoni) pensa che non esista se non per chi dorme ancora. Per tutti noi che ne siamo usciti o ne stiamo uscendo, ed ancora accusiamo i postumi della sbornia di benessere occidentale della notte prima, come cantano i Perturbazione (anche loro ospiti ferraresi): “Buongiorno, buona fortuna”.