Il New York Times ha da poco aggiornato la propria Social Media Policy interna, comunicandolo ai propri lettori con un lungo e dettagliato articolo.
Cosa è una Social Media Policy interna?
Una social media policy non è altro che un documento che ufficializza nero su bianco le regole di comportamento e il flusso di lavoro di un’istituzione, impresa o ente sui social network. Quando esterna, disciplina cose come orari di attenzione al pubblico e regole base di moderazione dei canali social interessati. Una social media policy interna disciplina al contrario il comportamento dei lavoratori e dei dipendenti di un’impresa, un’istituzione, un ente al momento di comunicare e interagire sui social dai propri account personali sui social network.
Da cosa nasce la nuova Social Media Policy interna del New York Times?
Il New York Times la butta là, citando Peter Beker, il principale corrispondente del NYT dalla Casa Bianca:
“It’s important to remember that tweets about President Trump by our reporters and editors are taken as a statement from The New York Times as an institution, even if posted by those who do not cover him. The White House doesn’t make a distinction. In this charged environment, we all need to be in this together”.
Cosa è successo? Dei tweet d’opinione sul Presidente Trump, inviati dagli account personali dei corrispondenti del Times (anche se non direttamente coinvolti nella copertura della presidenza), sono stati interpretati dalla Casa Bianca come opinione ufficiale del quotidiano statunitense. Bel guaio.
Cosa c’è nella nuova Social Media Policy Interna del NY Times?
Non si sa, ma se ne conosce un riassunto discorsivo pubblicato nel sito web del quotidiano, trovate il link in basso. Ecco i principali punti:
- La policy riguarda tutti i giornalisti, non solo i giornalisti impegnati con la copertura della politica e delle istituzioni;
- Non pubblicate sui vostri profili social opinioni di parte, promuovendo punti di vista politici, appoggiando candidati, facendo commenti offensivi o qualsiasi cosa che danneggi la reputazione giornalistica del quotidiano;
- Fate particolarmente attenzione a non prendere apertamente posizione su notizie che lo stesso Times sta cercando di seguire in maniera oggettiva e distante;
- Non esistono profili privati, ogni traccia e giudizio espresso negli account social di chi lavora al New York Times è in qualche modo di dominio pubblico (non scappa nemmeno Snapchat!) e potrebbe macchiare la reputazione del giornale;
- Non fate da “costumer care” del giornale dai vostri profili pubblici (che la gente si rivolga ai profili ufficiali insomma);
- Fate attenzione quando vi iscrivete a gruppi social, segreti o meno che siano, dove si difendano posizioni politicamente di parte.
- Trattate sempre chiunque con rispetto. Se si viene criticati per un articolo o un post, pensate prima di rispondere: forse chi attacca non ha letto bene (o per niente) l’articolo in questione;
- Se le critiche diventano pesanti, o aggressive, meglio non rispondere. Potete bloccare o “rendere muti” i profili di utenti particolarmente aggressivi, ma non a fronte di semplici critiche su ciò che scrivete;
- In caso di minacce, avvertite sempre la redazione. Il NYT protegge la sicurezza dei propri giornalisti;
- La forza dei social media applicata al giornalismo è tutta nella bellezza del “qui ed ora”: meglio se il primo sforzo comunicativo in caso di scoop o avvenimenti live venga convogliato sui canali social ufficiali del New York Times e non sui profili personali dei singoli giornalisti. In ogni caso sempre meglio chiedere il parere del proprio responsabile;
- Siate trasparenti. Se cancellate un post per un errore o una imprecisione, specificatelo sempre nel messaggio successivo;
- In caso di link ad altri media, cercate di essere imparziali e informare su varie posizioni. I lettori potrebbero altrimenti credervi di parte;
- Attenzione a condividere notizie o scoop da altre fonti non verificate dal NYT. I vostri fan/followers potrebbero credere che si tratti della posizione ufficiale del giornale;
- Sperimentate pure con le piattaforme, con le modalità di linguaggio e di espressione sui social. Specialmente se poi questi esperimenti si potranno tramutare in nuove modalità di storytelling del New York Times;
Cinque domande da farsi prima di pubblicare sui social network, sempre
L’articolo si conclude con 5 meravigliose pillole, 5 domande che tutti dovremmo farci (ovviamente adattandole al nostro lavoro e alla nostra posizione professionale) prima di pubblicare qualcosa sui propri account social personali:
- Pubblicheresti qualcosa di simile direttamente sul New York Times?
- Chi leggerà il tuo post avrà motivi per chiedersi se sei di parte?
- Chi legge i tuoi post sui social potrà avere qualche ragione per dubitare dell’imparzialità del New York Times?
- Il tuo post potrà ostacolare la capacità dei tuoi colleghi di svolgere con efficacia il proprio lavoro?
- Chi spulcia nei tuoi feed, inclusi retweet e condivisioni, si potrà porre delle domande sulla tua imparzialità durante il tuo lavoro di giornalista?
Maggie Haberman, giornalista del NYT, chiude con una riflessione anche troppo chiara:
Prima di pubblicare chiediti:
- stai pubblicando qualcosa che debba essere detto?
- stai pubblicando qualcosa che debba essere detto, da te?
- stai pubblicando qualcosa che debba essere detto, da te, proprio adesso?
Se la risposta a una di queste tre domande è no, meglio lasciar perdere.
Ma non saranno troppo aggressivi? Non si limita la libertà dei giornalisti?
L’articolo risponde in maniera abbastanza precisa, citando una frase di un altro corrispondente, Nick Confessore:
La verità è che il mio account Twitter è un account del Times. Il Times non lo controlla, ma si rende responsabile per quello che pubblico o che compare nel mio feed. Il lettore tipo infatti considera i miei account come un’estensione dei canali social ufficiali del Times e del giornale, piaccia o non piaccia. Credo che tutti noi del Times abbracceremo questa logica come il prezzo da pagare per poter lavorare in un’importante media come questo. E per essere corretti, se il mio account twitter è così popolato lo devo specialmente al mio lavoro al Times.
Punto, game, set. E bravo il New York Times per aver pubblicato l’articolo (che ho tradotto non alla lettera), prima che la nuova ed aggiornata policy venisse fuori in altri modi: sempre meglio definirsi prima di essere definiti.